domenica 5 settembre 2010

Perché a credere nel Partito democratico (italiano) non restino solo i pazzi


Riporto l'articolo di Curzio Maltese pubblicato sull'ultimo Venerdì di Repubblica. Purtroppo, è tutto vero, analizzato e comunicato in maniera lineare. Toglie la possibilità di continuare a dirsi "ma dai, non è vero".

Mi fanno ridere di amarezza quanti avranno commentato per l'ennesima volta utilizzando l'espressione il solito attacco di "Repubblica - Gruppo Espresso", ecco quello che fanno credere. Le intenzioni del partito-azienda di De Benedetti-Scalfari in questo caso, a mio avviso, non hanno alcuna importanza perché la verità che mostra Maltese è appunto verità. In altre parole, del processo alle intenzioni degli "azionisti di Repubblica" non c'è proprio la possibilità di occuparsene, c'è quanto segue che deve occupare menti, sforzi e coraggio prima di ogni altra questione.


 Il Pd, che vive aspettando Harry Potter (3 settembre 2010)
Ma che cosa vuole tutta questa gente dal povero Pierluigi Bersani? Che cosa sperano i (troppi) candidati dell'ultima ora alla guida del centrosinistra? Pensano davvero che il gruppo dirigente del Pd si suicidi, dopo tanta fatica per riprendersi il partito, lasciando un biglietto in cui indica Vendola o Zingaretti come eredi?
Non hanno

capito nulla. Bersani, Penati, D'Alema non si sposteranno di un centimetro, anche a costo di far rivincere Berlusconi. Il Pd come lo hanno sognato milioni d'italiani non esiste più. È finito prima con la sconfitta di due anni fa e poi con le dimissioni di Veltroni. Forse era destinato a fallire comunque, perché era nato vecchio e sulla spinta di una porcata di legge elettorale.
Proprio come il suo avversario, il Pdl. Ormai alla guida del Pd c'è un gruppo di funzionari impegnati nell'unica cosa che sanno fare: la riedizione del Pci. Ovvero, la sopravvivenza di un progetto nato con Togliatti e morto con Enrico Berlinguer. Possono farlo perché l'Italia è una nazione di nostalgici.
Perché quando la storia li aveva condannati sono stati salvati da un'intuizione geniale di Occhetto, che pure loro odiavano. Possono perché dall'altra parte c'è Berlusconi e lui c'è perché ci sono loro a fornirgli l'unica, ma decisiva ideologia: l'anticomunismo. Questo è lo stato dell'arte ed è ridicolo illudersi che questo Pd possa trasformarsi in un moderno partito riformista con il colpo di bacchetta di un Harry Potter venuto da fuori. La nomenclatura del Pd deve continuare a fare quello che sa fare, l'imitazione del Pci. Ovvero la Lega del centro Italia. Deve coltivare gli orti elettorali delle cooperative, dei pensionati Cgil e continuare a convincere quelli come me a ogni elezione che in fondo sono meno peggio di altri. E pazienza se del Nord non capiscono un accidente da vent'anni. Il resto, il nuovo, i1 Pd lo deve lasciare agli altri, a Vendola, a Di Pietro. Senza vederli come nemici. Perché senza il 7-8 per cento di Di Pietro, senza il 10-12 di un Vendola formato Cohn Bendit, la sinistra non vincerà mai.
Questo Pd deve sperare nel solito inciucio dalemiano per formare un governo di transizione che cambi la legge elettorale. Ma non scambiare la tattica per strategia, come fa D'Alema, e illudersi che Fini e Casini vogliano suicidarsi in un cartello con le sinistre. Il Pd oggi vale al massimo il 25 per cento, quindi dovrà puntare su di un candidato esterno che se lo porti al governo. Siasuo realisti, compagni: con Bersani for president non si va da nessuna parte. Il resto sono chiacchiere sotto l'ombrellone.
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