mercoledì 19 settembre 2012

Il surfista e il centravanti


E dopo la discesa in camper, ora è il momento dell'amato surf. "Il surfista e il centravanti" è il titolo della rubrica di Gramellini di oggi su La Stampa. Banale sottolineare che si stratta di un titolo che questo blog e il sottoscritto li "fomenta abbestia", come si dice a Roma.

Ma, ancora di più, ci tengo a rimarcare che da molto tempo ho capito che si fosse sulla strada giusta, che 'sto sindaco di Firenze non fosse un fenomeno da baraccone. Da tempi non sospetti, prima di molti altri, e sopratttutto prima di qualunque "bandito in cerca ora di nuova verginità", rivendico di essermi semplicemente e coerentemente ritrovato per idee, passioni, e pure istinto. Senza mai averci spiccicato parola, solo molto recentemente e di sfuggita l'ho incontrato, ed è stata un'ulteriore conferma oltretutto di modi schietti e concreti.

Ok, buona lettura. E buon proseguimento...Augh!

Quando si alza, l’onda del disgusto sommerge tutti, tranne il surfista che ha il coraggio e il tempismo (doti che a Renzi non fanno difetto) di montarci sopra.  | permalink

venerdì 14 settembre 2012

Dare il senso alla storia. Adesso!


da The Week
Da tempo avverto la necessità, singolare dirà qualcuno, di sottolineare aspetti della sinistra italiana che a me sembrano palesemente incoerenti, e per scelta della stessa sinistra italiana. Nessuno le ha ordinato di dire certe cose e poi far intendere il contrario, o addirittura dirlo.

A mio avviso, se ha ancora senso parlare di destra, sinistra e centro, di sicuro c’è oggi una necessità estrema di essere chiari, oltre che avere idee chiare da comunicare. Prima di tutto mi pare evidente che c’è bisogno di ridefinire in modo adeguato cosa si può o deve intendere oggi per progressisti (e socialdemocratici? Sarebbero avversi ai cosiddetti liberal? Come? Perchè? Si devono alleare con i “moderati”? E chi sono i moderati?).

Ma lasciando questi massimi sistemi ad altre occasioni e a sedi forse più appropriate, qualcosa si potrebbe chiarire già riflettendo su fatti più concreti. Prendiamo il caso Hollande. I pasionari della sinistra italiana si sono ritrovati e tutt’ora rivendicano l’appartenenza a quello che Hollande è riuscito ad affermare e su cui ha preso i voti. L’Hollande che in questi primi mesi di presidenza francese ha deciso di lavorare chiaramente in stretta collaborazione e abbracciando la visione di Mario Monti, non solo in chiave europea. Ma Hollande sta lavorando fianco a fianco con lo stesso Monti che gli stessi “sinistri” italiani non perdono occasione di attaccare e criticare alla base, per così dire, della sua piattaforma politico-culturale. Ciò avviene soprattutto al di fuori del Partito democratico, ma purtroppo anche all’interno del Pd. E’ davvero sostenibile qualcosa del genere? Fino a quale soglia?

Vado avanti con un altro esempio, l’ultimo in ordine cronologico e a me pare esemplare. Qualche giorno fa Vendola, quello che Bersani vuole far alleare con Casini per intendersi, è andato insieme ai famosi Bonelli, Diliberto, Di Pietro e Ferrero a depositare il referendum per l’abolizione dei punti della riforma Fornero che riguardano il celeberrimo articolo 18, quella riforma che il Pd ha votato in parlamento. Già molti prima di me hanno fatto notare che ciò rappresenta un problema, diciamo, se si vuole dire agli italiani di governare il paese insieme a Vendola. Io vorrei soffermarmi sull’utilità che tutto questo “teatrino” ha per la battaglia progressista. Dunque, quale sarebbe?

Il tutto mi risulta sostanzialmente insopportabile se poi uno legge e aggiunge alla matassa che è molto probabile(se non già scritto) che un Francesco Rutelli ritorni in un listone “democratico” alle prossime politiche. E banalmente si vocifera che proprio su questo si basa la candidatura di Tabacci alle primarie del centrosinistra.

Ad ogni buon conto è sul governo Monti(ha fatto macelleria sociale sì o no?), sulla agenda Monti per il futuro, che il Partito democratico in primis, volente o nolente, sarà costretto ad essere chiaro e credibile. E mi pare, adesso, definitivamente costretto, dopo quello che ci si aspettava che dicesse e che oggi a Verona ha detto Matteo Renzi. | permalink

sabato 4 agosto 2012

Buon agosto.


Un ciclo è finito. E ha indicato chiaramente su cosa devo lavorare, mercati vari e differenti compresi. Giuro che non ho bevuto: è oggettivamente tanta roba da finire di sistemare per bene. Per poi declinare nuovi metodi, adatti alla nuova stagione. Perché le idee di base restano sempre quelle, ma bisogna continuare a veicolarle al meglio.

Dunque ho proprio bisogno di una vacanzina, che accompagni tutto questo breve processo. E, volenti o nolenti, so esattamente anche dove. Che poi a settembre tocca essere in forma globalmente. Per il pubblico e prima per forza per il privato, e pure per le sfere miste. Augh!

 (Nel frattempo mi sono convertito al giallo. Prima pensavo fosse solo il colore di questa mia estate 2012. E invece. Non era stato quindi un caso che già era stato deciso come colore sociale della squadra di calcetto che stiamo mettendo su per la prossima stagione. Poi mi sa che mi trovo pure una cuffia gialla e mi ci alleno anche in vasca)

p.s.
agli amici che mi dicono di finirla di fare il criptico, che hanno ragione...
...questo post in verità lo voglio classificare come ultimo figlio degli insegnamenti di Jack Folla | permalink

venerdì 27 luglio 2012

10 app per iPad


(da The Week)
Mi concentro su app presenti o realizzate appositamente per iPad, ma Skype comunque non può mancare. Con l’aumento della presenza di reti Wi-Fi (seppure ancora con lentezza) Skype assume maggior importanza in un dispositivo che permette tutto ma non di fare chiamate o inviare sms. Inoltre con il potenziamento della fotocamera e il miglioramento del display retina, risulta davvero un piacere videochiamare con questo tablet, oltre che molto comodo. Gratuita

Podcast
Ce n’è oggettivamente per tutti i gusti. E in tutti i formati. In tutte le circostanze. Unico avviso, non perdersi dentro i tantissimi podcast offerti, moltissimi gratuiti. Dalle più note trasmissioni radiofoniche italiane, ai video (spesso vere e proprie lezioni caricate su iTunes) di università americane o cinesi. Gratuita.

Tweetbot

Dopo un utilizzo significativo mi pare che sia la migliore app per la gestione di Twitter. La app ufficiale dell’uccellino per i miei gusti è molto meno completa di quella disponibile su iPhone: ad esempio mancano i retweet e il “ti segue”. Oltre ad essere efficiente sotto questi punti di vista Tweetbot appare migliore da un profilo puramente estetico, e anche per quanto riguarda l’usabilità. A pagamento.

Fera

Spesso la app ufficiale di Facebook subisce rallentamenti, blocchi o addirittura va in crash. Ad oggi Fera mi pare la migliore app per gestire facebook dal punto di vista qualità/prezzo (non è gratuita infatti, costa 1,99euro). Per i più affezionati a facebook c’è da dire che visualizza i profili fb e le pagine in maniera leggermente diversa e più completa di quanto appare anche sul normale computer. Insomma altro che “versione mobile”...

Tubebox

Permette di catturare i video da Youtube. Una app fondamentale per chi ha bisogno di reperire materiale video per qualsiasi uso ne abbia bisogno.

Numbers e iMovie
Sono due delle diverse app di casa Apple messe sul mercato per dare agli utenti una offerta competitiva alternativa ai famosi software di Microsoft. Mi pare che queste due, sempre per un criterio principalmente di qualità/prezzo, risultino più indispensabili delle altre. Numbers è sostanzialmente il contraltare di Excel, e permette di lavorare in maniera abbastanza profonda su un foglio di lavoro. Unica accortezza da consigliare è quella di prendere molta dimestichezza con il touch screen, altrimenti qualche arrabbiatura probabilmente arriva. iMovie invece permette di lavorare su materiale video, scaricato dal web oppure direttamente girato con iPad. Presenta un’interfaccia molto intuitiva e delle funzioni più che sufficienti per realizzare prodotti apprezzabili. Entrambe le app sono a pagamento, sotto i 10 euro.

World Atlas

E’ una app offerta da National Geographic che permette di avere il mondo in un dito. Qualsiasi informazione e statistica su qualsiasi paese del mondo. Molto utile per chiunque, non solo per i maniaci della materia. A pagamento.

Teletube

Ad oggi, salvo aggiornamenti che ne depotenzino l’offerta(ossia canali tolti), pare una delle migliori app per vedere la tv da iPad. Fermo restando che ogni grande gruppo televisivo ha la sua app ufficiale (di molto migliorata quella della Rai, anche se resta insuperabile quella di SkyGo), Teletube offre tanti canali delle tv estere e internazionali in un posto solo. In ogni caso questo segmento delle app per tv si caratterizza per repentini cambiamenti del’offerta di settimana in settimana, a causa del continuo monitoraggio apunto delle dirette interessate, le emittenti televisive...

Simcity DLX

Uno dei giochi per PC più conosciuti nei cosiddetti anni zero. Ora cerca di ricollegarsi su web e nuovi dispositivi mobili, come appunto iPad e gli altri tablet. C’è da dire che questa versione “Deluxe” non presenta significativi aggiornamenti rispetto alla versione SimCity, anzi, sostanzialmente siamo lì. Ma chi è affezionato a questo tipo di gioco di strategia, o proprio a SimCity, probabilmente spende pochi euro per averlo sempre con sè quando ha un ritaglio di tempo. | permalink

giovedì 5 luglio 2012

RAISPORT E L'ITALIA DA ROTTAMARE


(da The Week) C’era una volta Nando Martellini. Ho fisso in mente il ricordo di quella Vhs in cui si raccontavano le imprese italiane del passato, l’europeo 1968 e il mondiale 1982. Rimane chiarissimo nelle mie orecchie quel “Ortiz De Mendibil”, come un breve verso letto in metrica, ed era solo il nome dell’arbitro della finale contro la Jugoslavia ricordato a fine partita. C’era una volta anche lo stesso Bruno Pizzul (ora non più in Rai), che a differenza di Martellini non ha avuto la fortuna di raccontare in diretta vittorie finali, ma ci ha fatto emozionare lo stesso. Tutti ricordiamo il mondiale statunitense del 1994, quel chiamare per nome “un grandissimo Roberto” (Baggio) mentre scartava, “convergeva verso il centro” e segnava contro Bulgaria e Nigeria e ci portava in finale. E oggi? Oggi, alla sofferenza, legittima, della partita, dobbiamo aggiungere di default l’insofferenza per una telecronaca e per il cosiddetto commento tecnico (durante, e soprattutto prima e dopo le partite). E francamente non se ne può più. Se addirittura giorni fa si è mosso anche Aldo Grasso e ha tuonato dalle pagine del Corriere, allora la situazione è diventata davvero drammatica e insostenibile. Il problema non è trovare un telecronista che sia “rispettoso” dei suoi predecessori e dei contemporanei che lo ascoltano (peraltro, almeno uno, secondo opinione comune, esiste: Stefano Bizzotto). Il problema è generale e non è per nulla forzato o esagerato prenderlo come specchio perfetto della situazione complessiva del paese Italia. Situazione drammatica e si spera non tollerabile oltre. Gli appassionati di calcio sono stati costretti a seguire questi europei su e con RaiSport. E non era necessario monitorare Twitter per concludere da soli che il servizio offerto non era scadente ma, a mio avviso, al limite dell’allucinante. Nomi sbagliati a ripetizione, battute incomprensibili o fuori luogo, commenti banali se andava bene, silenzi e noia. Ciò si palesava anche meglio al di fuori dei 90 minuti delle partite, durante i programmi costruiti intoro all’evento Europei di calcio. Si assisteva, ripeto, se andava bene alla fiera dell’ovvio, inermi davanti ad una tv di mediocrità da tanti punti di vista, ospiti compresi. Il grandissimo Francesco Pannofino non può essere il commentatore di punta, come non poteva esserlo 4 anni fa Teo Teocoli. Su Twitter, e sui social più utilizzati, nel frattempo infatti si rimpiangeva profondamente non il Caressa di “Andiamo a Berlino Beppe”, ma quella “filosofia” e quella prassi che Sky ha saputo far conoscere, apprezzare e quindi far richiedere anche altrove. Vale a dire un insieme di giornalisti (ed ex calciatori) preparati e sempre spigliati, comunicativamente agili, fissati sull’aggiornamento secondo dopo secondo, attivissimi in rete. Non sarà un caso che la loro età media è significativamente molto più bassa di quella presentata da RaiSport, che appare (ed è) ancorato al passato, lo specchio fedele, appunto, di un paese in affanno perchè non vuole rinnovarsi. In Rai non esiste l’esperto di tennis, di basket, di calcio o di nuoto. Invece esiste l’essere amico di, parente di, raccomandato da. Da persone, chiaramente, non nate negli anni 70 o addirittura ‘80. Da qui è facile, e mai banale, ricollegarsi ai grandi temi extra-sportivi, come ad esempio quello della privatizzazione della Rai, perchè appunto non si fa fatica né si sbaglia a generalizzare la questione "RaiSport". Si tratta di "grandi" argomenti e relative riflessioni che si trovano ben approfondite da queste parti... | permalink

venerdì 29 giugno 2012

Patria o Muerte


Altro che moderati e progressisti! Come ho scritto qui  questi hanno tutti indistintamente una paura fottuta di essere spazzati via. E allora giocano l'ultima carta: fare un cartello di potere da Fini a Vendola passando per Casini e la maggior parte degli "spifferi" del Pd. L'obiettivo è eliminare le primarie(già ufficializzate) e salvarsi tutti insieme appassionatamente. Ed è proprio una coalizione "Potemkin" del genere che consegnerebbe il paese alle destre populiste. Mi dispiace per chi non vuole capirlo, per gli ipocriti invece Tempo sarà galantuomo...

E' altrettanto evidente che per "noi" è Patria o Muerte. Col sorriso e a viso aperto, senza carrozzoni o cambiali da pagare, dunque molto più liberi... | permalink

Le primarie, l'ex(?) candidato Vendola


(da The Week)

Io mi ricordo Nichi Vendola che si candidava per primo alle primarie del centrosinistra. All'epoca, 19 luglio 2010, erano primarie indefinite sia nel tempo che nello spazio, ma lui ci teneva ad essere il primo candidato, appunto.



Io mi ricordo NV che organizzava il raduno delle fabbriche di Nichi, sostanzialmente i suoi comitati elettorali sparsi per il territorio, che aprivano gruppi e pagine su fb, e facevano pure "opinione" e davano lavoro ai titolisti dei giornali.

Io mi ricordo NV che rilasciava interviste su interviste, rilanciando e ricordando a tutti che lui si candidava e sperava di non essere il solo. "Per sparigliare il centrosinistra". Insomma realizzare in Italia proprio quello che aveva realizzato in Puglia.

Ora, lo scorso 8 giugno, Pierluigi Bersani ha annunciato e ufficializzato che le primarie ci saranno, addirittura definendole "aperte". E non ha stabilito che saranno primarie di partito (come auspicava il suo sfidante in pectore Matteo Renzi), ma ha lasciato intendere che saranno di coalizione. Insomma un vero e proprio regalo per Vendola. Tutti abbiamo subito pensato: entro dieci secondi uscirà la dichiarazione del leader di Sel. E invece niente.

È dall'8 giugno che tutti attendono l'annuncio di Vendola che dice che lui si candida, che anche lui é un candidato in gioco. Invece, niente. Solo un po' di fumo, di "narrazione" senz'arrosto. Perché? Come mai non sta più forzando la mano di Bersani proprio ora, proprio adesso che è logico e legittimo?
Se ora non si candida più non si capirebbe davvero tutta la smania nel biennio appena passato. E soprattutto ci si chiederebbe perché, adesso, non reputi più politicamente necessario e/o conveniente "sparigliare". Che forse Bersani e il suo Pd siano diventati troppo "solidi" e non più scalabili? Oppure restano sempre molto scalabili ma risulta più conveniente accordarsi col segretario Pd in vista di elezioni politiche vere sempre più vicine? Oppure, qualcuno gli ha fatto notare che potrebbe levare tanti (troppi?) voti a Bersani, magari dando una mano a Matteo Renzi?

Ad ogni buon conto, gli aspetti curiosi della faccenda non finiscono qui e non riguardano solo Vendola.
Ad oggi, 28 giugno 2012, le primarie del centrosinistra risultano calendarizzate (seppur ancora senza data precisa), ma di fatto sono comunque molto più a rischio.
Infatti, se anche il governo Monti superasse il caldo di ferragosto (cosa per la quale da queste parti si prega anche di notte), il recente annuncio del patto tra "moderati" e "progressisti" sembra aver fatto saltare qualsiasi primaria. Si tratta della soluzione per permettere a tutto il gruppo dirigente di "salvarsi", tutti insieme appassionatamente, sostituendo all'inno "Berlusconi dimettiti" lo spauracchio delle "destre populiste".

A proposito, gli oramai famosi "giovani turchi", sono pronti a farsi piacere gli ex berlusconiani Fini e Casini? E del "patto di sindacato tante volte denunciato" e che ora si arrocca nel partito, cosa pensano?

Ci auguriamo che Nichi Vendola  stia solo limando al meglio l'intervista decisiva, l'ultima. L'intervista in cui annuncerà la sua candidatura all'interno di questa grandissima e magnifica coalizione che andrà dai già citati "reduci" Fini e Casini a lui medesimo. Uno "sparigliamento pazzesco". Come la corazzata Potemkin... | permalink

martedì 22 maggio 2012

Il meglio deve ancora venire.



(pausetta da social vari, forzata e irrevocabile, come ai vecchi tempi. Ora pazienza e ironia facciano la differenza...)
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Un blogger è in parlamento


Da ieri sera abbiamo avuto, in diversi, la dimostrazione che non è mai un esercizio inutile. E non è stato un esercizio inutile.

Da ieri sera si festeggia, un traguardo è stato raggiunto, e quando lo si prefissò era oggettivamente impossibile per mezzi e contesto generale. Ma, appunto, non è mai un esercizio inutile.

Io, sinceramente, non trovo altre parole, adesso non ce l'ho. Mi fermo solo a pensare in silenzio da ieri pomeriggio appena sono libero da impegni non derogabili.

Intanto, qualcun altro ha scritto una lettera che tanto non sarei riuscito a scrivere con tanta precisione, e inserendoci tutto quello che serve per far capire la questione. E' la lettera di un amico ad un suo amico, due amici miei comunque.

Io aggiungo che "il meglio deve ancora venire". Non può che essere così, altro che "retorichette".

Ah, sarebbe stato interessante, ma sticazzi della top5 di quelli che rosicano... | permalink

lunedì 21 maggio 2012

Ballottaggi 2012, analisi a caldo.


Che il Pdl sia sparito mi pare definitivo. La Lega che ha perso ovunque invece non diamola mai per morta. Comunque è stato eletto il candidato (la persona) migliore.
E poi, come dicono in diversi, il Pd ha vinto ovunque, ovunque giocava da solo, invece ha perso, e malissimo (Parma e Palermo, per non parlare dei comuni dove i candidati ex pd espulsi hanno vinto sul candidato ufficiale vedi Belluno) nei posti dove aveva un avversario più credibile...il rischio 1994 è ancora più confermato del primo turno. | permalink

martedì 15 maggio 2012

Certa politica mediterranea (da rivedere)


5 anni fa Segolene Royal, ex compagna di Hollande e madre dei suoi 4 figli, perse contro Sarkozy. Oggi vede sfilare la nuova "premiere dame" grazie alla vittoria di Hollande proprio contro Sarkozy. Per me queste cose fanno governare male (e forse dovrebbero far riflettere la politica mediterranea: le famiglie che contano sembrano sempre quelle, e se si dividono magari creano attriti, boh. Forse servono persone più stabili nel privato, la butto là) | permalink

lunedì 14 maggio 2012

Aspettando rottamazioni italiane non sportive


Gli amanti del calcio sono reduci da un ultimo turno molto emozionante dei campionati europei, di almeno due massime serie. La Premier League che si è conclusa ieri è stata davvero qualcosa di severamente vietato per i deboli di cuore.

I tifosi del Manchester City al 91o stavano realizzando di essersi illusi ancora una volta, che nemmeno dopo 44 anni fosse tornato il loro momento di gloria. A molti ci è tornato in mente lo straordinario film Fever Pitch, dedicato all’Arsenal della stagione 1988/1989, ma che calzava a pennello pure per questo campionato e per questa ultima giornata della squadra di Roberto Mancini. Amici miei hanno addirittura previsto doverosi futuri film su questo Manchester City, che ha regalato e ri-strappato il titolo ai cugini dello United in 3 minuti al 94o.

La nostra Serie A, invece, nell’ultima giornata doveva ancora dirci “solo” chi avrebbe vinto definitivamente la sfida per il terzo posto, e chi sarebbe stata la terza squadra a retrocedere. E, infatti, i riflettori si sono spostati, giustamente, su altro. Su qualcosa per cui questo calcio, miliardario e pieno di elementi marci, riesce ancora ad emozionare, e molto. Ieri c’è stato l’addio degli ultimi giocatori rappresentativi del nostro calcio, del nostro campionato, per la mia generazione, pure dei calciatori conosciuti all’asilo.

Ieri hanno salutato Alessandro Del Piero e Filippo Inzaghi, due campioni del mondo, due che hanno vinto davvero tutto, ma nemmeno loro vengono risparmiati dal tempo che passa per tutti. Da questo punto di vista, tornando alla Premier, più o meno forzatamente, viene facile commentare che alla fine è stata la vittoria di Balotelli, Aguero e Mancini, contro gli immortali Giggs e Ferguson.

 Ritornando in Italia, piccolo excursus: sarebbe il caso di far notare una certa differenza nel saluto regalato dalle rispettive squadre a questi due campioni. Da un lato Alessandro Del Piero che da solo fa un giro di campo mentre ancora la partita non è terminata. Dall’altro Pippo Inzaghi, che insieme ai “senatori” del Milan, Rino Gattuso, Sandro Nesta, Gianluca Zambrota e Clarence Seedorf (ancora in forse) che hanno salutato, sono stati messi al centro di un pomeriggio in cui la sincerità e gli occhi lucidi sembrano aver vinto sulla retorica. Entrambi hanno segnato nella loro ultima partita, Inzaghi ancora decisivo con un gol di rapina; Del Piero ancora con una pennellata da “Pinturicchio”.

 Al di là di questo, su cui tra ieri e oggi troviamo pagine su pagine, cartacee e telematiche, fa riflettere, molto banalmente, come “la rottamazione” nel calcio, essendo uno sport, accomuna il nostro “vecchio” paese agli altri, senza guardare in faccia ai successi e alla forma ancora presente di chi va a interessare. Ripeto, molto banalmente, viene da fare il confronto con una classe politica e dirigenziale in generale, che molto difficilmente trova, o è costretta a trovare, “occasioni” per fare altrettanto.

In ogni caso quando capita accade per scandali mostruosi.E la... continua a leggere su The Week | permalink

mercoledì 9 maggio 2012

Il Pd e i suoi giovani


Da quello che ho trovato in rete i Giovani democratici hanno almeno 40mila iscritti. E li hanno fatti votare nel recente (primo) congresso che ha portato alla conferma del segretario Raciti. Come tutti sappiamo i Gd costituiscono la giovanile riconosciuta del Partito democratico. E stando a questi numeri, fino a prova contraria che non ho, sono la più grande organizzazione giovanile di partito presente in Italia. Ciò è indiscutibile. Come non si può discutere la leadership di Raciti, la cui mozione al congresso appena citato ha ottenuto l'83,2%. Una roba da paese satellite dell'ex Unione Sovietica. Alla luce di alcuni accadimenti, in ultimo i risultati delle amministrative di ieri, ritengo utile, e forse doveroso, provare a fare una sorta di "processo alle intenzioni". Mi spiego meglio. Per prima cosa provo a chiedermi perché un italiano tra i 14 e i 29 anni si iscrive ai Giovani democratici, e chi incontra sulla sua strada per compiere questa sua scelta. Poi, con le giuste approssimazioni, provo a domandarmi cosa produce questa azione, individuale e collettiva, nel partito di riferimento e quindi nella politica italiana. Esisterà qualche militante che si iscrive e poi non viene più chiamato a partecipare, se non per riempire moduli e "segreterie" (anche se non credo a loro insaputa)? Nel risponder(mi) a queste domande non riesco a evitare che alcuni dati e/o fatti inficino la mia risposta. Ad esempio l'83,2% di cui sopra. Oppure venire a sapere che i Gd vanno a fare campagna elettorale in Francia per Hollande (per carità, siamo tutti felici che abbia vinto un progressista), catalizzando l'attenzione che si rivolge loro su questo fatto, quando invece avrebbero potuto concentrarsi esclusivamente sulle amministrative italiane. Che so, fare squadra e dare una mano più consistente a Doria a Genova che per un soffio(e per la prima volta) non è riuscito a vincere al primo turno, o al giovane Ferrandelli a Palermo appoggiato anche questo dal Pd, o a L'Aquila a Cialente, o magari a Verona dove si sapeva che c'era un bisogno estremo di forze fresche, o, ancora, a Catanzaro al 28enne Salvatore Scalzo, nella Sardegna referendaria, nei piccoli comuni della costa ionica della Sicilia dove il Pd non mi pare sia molto radicato, a Monza dove Lega e Pdl scontano Trota e olgettine, o anche a Sarego (Vi) dove il M5S elegge il suo primo sindaco, a Parma dove andiamo al ballottaggio proprio col M5S, o magari anche a Lecce dove la destra ha già vinto col 64%. Parlando con miei coetanei, appunto italiani che rientrano tra i 14 e i 29 anni, nei luoghi e nelle sfere sociali più diverse, non riesco a capacitarmi di come si possa decidere di iscriversi ai Giovani democratici se non si ha una "passione" per la politica molto rilevante. E davvero non mi pare che sia una caratteristica molto diffusa. E forse proprio per questo, chi se la ritrova, finisce in buona fede per "accontentarsi di quello che passa il convento". Queste amministrative potevano essere l'occasione per cominciare a distruggere questa evidenza. Non mi pare che lo siano state. Però, personalmente, credo che non verrà buttato alle ortiche pure l'appuntamento del secondo turno. Il vero terzo polo, su scala nazionale, è il Movimento 5 Stelle: come ci ricorda il già citato ballottaggio di Parma, ad esempio. E il M5S appare costituito soprattutto da giovani con cui, volenti o nolenti, sarà il caso di cominciare dialogare, quantomeno per capire perché vanno dietro a Grillo. A Palermo... continua a leggere su qualcosa di Riformista | permalink

giovedì 26 aprile 2012

E chi c'ammazza?


Questo blog ha subito diverse traversie, da quando stava sul Cannocchiale. Come tanti. Non ho scritto tante volte per tanto tempo. Per poi riprendere a scrivere "promettendo" ogni volta nuovo impegno. Nel frattempo ci siamo nascosti per un po' dietro la forza di fb, che, di sicuro, per qualche anno, dal 2009 ad oggi, pareva aver ucciso i blog.

Adesso, però, le note di fb, ad esempio, sembrano davvero morte: prima ti trovavi taggato almeno in una nota al giorno, adesso non succede più. E oltretutto, da quando c'è Monti, coincidenza interessante, pare che in massa abbiamo la necessità di curare di nuovo un contenitore da "lunghi pensieri". Gli status, seppur senza limitazioni a 400 caratteri, appaiono semplicistici e non più adatti ed efficaci. E Twitter poi ha la necessità ti far viaggiare link seri ed argomentati.

Per fortuna almeno in parte l'avevamo capito che non aveva senso chiudere tutto. Ma che bisognava solo aspettare che i tempi tornassero maturi per curare quotidianamente (o quasi) un blog. Anzi, adesso i tempi sono ovviamente più maturi di 10 anni fa...


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giovedì 22 marzo 2012

PD, congresso subito?


Oggi stiamo leggendo dappertutto che il Pd rischia seriamente di dividersi, di scindersi, insomma di morire per davvero. La causa? Sostanzialmente dover affrontare la riforma del mercato del lavoro che lunedi è stata presentata da Fornero e Monti. Situazione nella quale si registra che l’articolo 18, seppur strumentalizzato ovunque, non era l’ultimo dei problemi. Mentre scrivo c'è la sensazione che in parlamento qualcosa verrà cambiato. Stiamo a vedere.
Ad ogni buon conto è paradossale che in difficoltà ci sia il PD e non il Pdl. La riforma Fornero infatti finalmente affronta concretamente uno dei nostri problemi nodali, e mette in campo soluzioni, di cui la destra berlusconiana ha parlato spesso in campagna elettorale in questo ventennio, senza mai tradurre nulla in azioni concrete. E comunque si tratta di soluzioni per nulla di destra, anzi alcune sono banalmente ricollegabili ad una cultura socialdemocratica come si prova a dire anche altrove.
Ecco perché sembrerebbe assurdo che non sia il Pdl a essere messo nei guai da questa riforma, e che addirittura lo sia il PD. È assurdo ma solo in teoria. In pratica, infatti, si sa che si tratta di un nodo che viene al pettine. Uno di quei nodi che l'ultimo congresso 2009 del partito non ha affrontato, come del resto gli altri appuntamenti degli ultimi vent'anni della sinistra italiana. In verità all’ultimo congresso del Pds del 1997 il segretario Massimo D'Alema diceva cose precise e univoche, “blairiane”, quelle di moda dell’epoca; per questo molti ironicamente dicono di essere rimasti dalemiani, e che sia stato lui ad aver cambiato idea. Ma questa è un’altra storia.
Un’approssimazione fastidiosamente errata è dire che gli ex Margherita siano tutti a favore di questa riforma, mentre gli ex Ds sono tutti contro. I media semplificano, rinunciando a spiegare una situazione leggermente più complessa. In realtà, infatti, la divisione tra dem a favore e dem contrari è trasversale e rispecchia, guarda caso, le mozioni del congresso 2009. In breve, da una parte una ex Margherita come la Bindi grande sponsor del segretario e dall'altra i vari Treu e Gentiloni. Franceschini, candidato contro Bersani nel 2009 cerca di collocarsi nel mezzo. Ma appare più vicino alla maggioranza del partito che pontiere.
Però c'è una rilevantissima eccezione: Enrico Letta. L'attuale vicesegretario del PD, che è tale in virtù dell'appoggio a Bersani nel 2009, ha fin dall'inizio palesato il suo favore per questo governo e i suoi obiettivi. E adesso continua a rincarare la dose staccandosi dunque dalla posizione della presidente del partito Bindi, rimasta fedele alla linea della maggioranza del partito.
Inoltre ci sono pure gli ex Ds divisi tra contrari e favorevoli. Anche qui le mozioni del congresso 2009 continuano a essere rispettate con una sola eccezione. Quella di Damiano (vicino a Fassino che appoggiò Franceschini), che si schiera con i depositari del filo rosso con la Cgil, ora guidati da Fassina. Tra i favorevoli il giuslavorista Ichino, Tonini, Morando, insomma i veltroniani (ma sempre provenienti dai Ds!) che continuano a spiegare che secondo loro l'agire riformista di Fornero e Monti addirittura è "di sinistra" se proprio vogliamo dirlo.
Quelle di Letta e Damiano sono due eccezioni che però possono spiegare che adesso i giochi stanno davvero cambiando in modo irreversibile. Per la prima volta ci sono tutte le condizioni per affrontare discussioni interne al netto di qualsiasi legame di potere o di convenienza figli di qualche passato. Per la prima volta è possibile dividersi esclusivamente in base ad idee e contenuti. Questo ovviamente dipende totalmente dalla volontà di abbandonare qualsivoglia comodità ipocrita.
E pare pure evidente che proprio da qui passa la sopravvivenza o la morte del partito democratico. O si affrontano finalmente i temi, ognuno mette nero su bianco le proprie idee e intenti, e il segretario legittima la sua funzione creando una sintesi credibile e sostenibile, oppure tutto crolla. La farsa del partito che in realtà non esiste, non solo nelle idee ma nemmeno negli immobili, non sarà più fisiologicamente praticabile. Allora alcuni, felicissimi, rifaranno finalmente il Pds (non i Ds), e gli altri valuteranno cosa sarà per loro più conveniente. E chi aveva creduto nel progetto di un partito democratico italiano non riceverà mai le scuse e nemmeno alcuna spiegazione, per questa che passerebbe definitivamente alla storia come una vera e propria "truffa politica". Perché nessun nuovo elettore Pd, seppur felice per la scelta, aveva costretto questi dirigenti a cambiare nome ai rispettivi partiti (anche se in queste settimane tutti abbiamo scoperto che in realtà si tratta di partiti ancora vergognosamente vivi finanziariamente).
Poi c’è un altro aspetto totalmente paradossale, e allo stesso tempo molto interessante. Da una parte ci sarebbe chi ha già bene in mente cosa fare: rottamare in qualche misura i propri padri e prendersi lo spazio che gli spetta. Le idee, per quanto possano apparire a tratti contraddittorie, condivisibili o meno, sono però chiarissime. E da questa parte ci sarebbe pure pronto un gruppo dirigente più giovane ben affiatato al suo interno. In soldoni, qui la leadership già è riconosciuta.
Dall'altra parte, invece, se la “mozione” sembrerebbe già pronta nella sostanza dei contenuti e delle idee, mancherebbe il metodo per provare a renderla vincente, e mancano pure i leader che siano convinti di spendersi per questa causa. Insomma il leader manca proprio a chi nel leader ci crede, proprio mentre di leader abbondano quelli che demonizzano la leadership e, anzi, di questa demonizzazione, ne fanno un cavallo di battaglia.
Mentre scrivo, come accennato, si annusa che in parlamento qualcosa succederà, che si riuscirà a trovare una soluzione. E che la vera rivoluzione Monti non l'ha compiuta sull'articolo 18, ma ponendo fine alla cultura consociativa, non più attinente nè giusta per una società totalmente modificata e in larga parte senza rappresentanze. Al netto di questo per il Pd resta inevitabile affrontare se stesso. Quello che dovrebbe o almeno quello che vorrebbe essere. E spiegare il perché.

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giovedì 15 marzo 2012

Ibra: genio e pazzia


Mi sono rimasti molto impressi gli occhi minacciosi di Ibra rivolti a Vera Spadini, la giornalista di Sky che al termine di Milan-Lecce si è vista arrivare addosso un “Ca**o guardi?” e pure il ferma capelli dello svedese. La colpa della giornalista è stata rivolgergli una domanda scomoda.

Tutti hanno subito commentato e ricamato sopra, ovviamente e giustamente. Si è andati dal “nervoso” al “gran cafone”. Al di là delle banalità che piace sentir ripetere, io mi voglio soffermare su una in particolare, perché mi pare quella più significativa confermata da quest’episodio.

Zlatan Ibrahimovic ha un peso incredibile dentro e fuori dal campo. E lui lo ricorda a chiunque ad ogni occasione, in qualunque maniera capiti e collocandosi senza problemi al di sopra del politicamente corretto. Lo ricorda ai compagni in campo (e anche all’allenatore Allegri), lo ricorda agli avversari, lo ricorda ai giornalisti e agli addetti ai lavori. Il Milan, dal canto suo, evita in modo scientifico qualsiasi intervento paternalistico che vada a riprendere il suo attaccante. Soprattutto in questa fase della stagione.

La squadra rossonera pensa bene, invece, di chiarire e rimettere a posto le situazioni sgradevoli che Ibra può creare. Tornando all’ultimo episodio, ad esempio, invia a Spadini 19 rose, tante quanti sono ad oggi i gol segnati dallo svedese.

Sembrerebbe che il genio deve essere salvaguardato dalla pazzia, o meglio, della pazzia, per quanto concretamente pericolosa, devono essere affrontate e risolte solo le conseguenze. Ma bisogna evitare di aggredirla perché c’è il rischio di compromettere il genio.
Ibrahimovic è all’apice della sua carriera. Con squadre di club ha vinto ogni campionato in cui ha giocato. Sappiamo a memoria che è dal 2004 che ciò succede, dove c’è Ibra si vince la massima serie di calcio. Due con l’Ajax (uno nel 2001/2002), due con la Juve (seppur uno revocato ma tanto era passato all’Internazionale), tre con l’Inter, uno col Barcellona, uno col Milan.

A prescindere dai risultati della nazionale svedese, ad Ibra è risaputo che manchi una consacrazione in competizioni internazionali. Anzi, a questo proposito subisce il rovescio della medaglia: se è vero che dove c’è lui si vince il campionato, è anche vero che con lui non si vince la Coppa. La vecchia e sognata “Coppa dei Campioni” ora Champions League. Addirittura a Barcellona negli ultimi tre anni l’hanno vinta 2 volte, e l’hanno mancata proprio nell’anno di Ibra in Catalogna.

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giovedì 8 marzo 2012

"Famolo solido" davvero. Impariamo almeno da Palermo



Sbagliando si impara. E’ la prima espressione significativa che ti inculcano all’asilo. A quattro giorni dalle primarie di Palermo, però, il centrosinistra, e il Partito Democratico in particolare, ai miei occhi continuano a fregarsene: sia degli errori del passato da cui impare, sia del futuro nel quale, finalmente, evitarli.
Oramai siamo diventati tutti esperti di primarie palermitane, come ci è capitato per quelle milanesi a fine 2010, poi per quelle napoletane all’inizio dell’anno scorso, e un mese fa pure per quelle genovesi. Anche in questa occasione abbiamo imparato a memoria i nomi di tutti i candidati che si sono sfidati, comprese le cordate che stavano dietro ciascuno di essi.
La prima è Rita Borsellino, l’unica che pure a Bolzano si conosceva già da sabato. Anzi, forse è stato proprio un handicap che quella di Palermo per la Borsellino sia stata la sua quarta candidatura di fila nell’isola. Candidata presidente alla regione nel 2005, alle politiche nel 2008 con Sel, alle europee nel 2009 col Pd. Borsellino era sostenuta dalla cosiddetta alleanza di Vasto più Ferrero più Verdi. 
Chi invece era uno sconosciuto fino a pochi giorni fa era Fabrizio Ferrandelli, uscito vincitore dalla Primarie con 158 voti di scarto sulla Borsellino. Ex Idv e consigliere comunale, ex figlioccio di Leoluca Orlando, è fuoriuscito dal partito di Di Pietro, portandosene, però, un po’ con sè. Ma i suoi sostenitori “pesanti” sono stati Cracolici e Lumia, i due uomini forti del Pd siciliano e creatori dell’accordo con Lombardo in regione. Quindi ha dietro un pezzo di Pd sicialiano importante, al quale malelingue più o meno informate, aggiungono un aiuto minimo dello stesso Lombardo. Insomma, Ferrandelli sarebbe stato ed è il candidato outsider che lotta contro “i vecchi” del centrosinistra, ma allo stesso tempo ha alcuni vecchi potenti che lo sostengono. Dicono, appunto, pure il presidente della regione che di sinistra non è. E’ il candidato perfetto.
Che Palermo e la Sicilia stiano anni luce avanti a qualsiasi Vasto, ce lo spiega Giuseppe Lupo. Deputato Pd in regione, unico big del partito siciliano a sostegno di Borsellino, si è fatto eleggere segretario regionale del Partito promettendo il non accordo con Lombardo. Poi però ha lavorato per l’accordo esterno e quindi per quello interno. Insomma uno della linea di Cracolici e Lumia, che però, come detto, hanno sostenuto Ferrandelli, e in quanto vincitori delle primarie chiedono addirittura le dimissioni di Lupo.
Torniamo ai candidati. Il terzo incomodo è stato Davide Faraone. Per la verità il deputato regionale Pd (provenienza Ds) è stato il primo a volere le primarie e a candidarsi. Era il 4 dicembre 2010. E su di lui abbiamo tutti imparato che è l’unico dei quattro candidati ad essere iscritto al Partito democratico anche se il Pd nazionale ha sostenuto Borsellino (Faraone ha denunciato anche finanziamenti del partito alla candidata non iscritta al partito).
Antonella Monastra, quarta classificata, è stata la candidata dei movimenti. Ex consigliere comunale, si è avvicinata alla politica proprio grazie a Rita Borsellino nel recente passato. Ha ottenuto più di 1700 voti e combattuto la sua onesta battaglia di idee senza troppo clamore. I veleni, le critiche, gli attacchi, infatti, non hanno riguardato Monastra nè prima, nè durante, ne in questo post primarie. 
Tutto si continua a concentrare intorno agli altri tre. In breve, una rappresentante di lista di Ferrandelli è indagata in quanto è stato segnalato che avrebbe distribuito l’euro per votare alle primarie. E i carabinieri hanno trovato più di 50 certificati elettorali a casa sua. Leoluca Orlando, probabilmente il vero sconfitto del voto di domenica, in un’intervista a La Stampa non le ha mandate a dire e ha parlato di “primarie inquinate” e che ancora “tutto può succedere”. Lui stesso è ancora possibile che si possa candidare. Sempre, ieri, in serata, Rita Borsellino ha presentato ricorso ai garanti delle primariecontestando l’elezione di Ferrandelli. E pure la Procura ha aperto un’inchesta.
Faraone, invece, viene da una tre giorni di bombardamento tramite video di Striscia la Notizia. E’ accusato di aver chiesto voti di scambio ai soci di una cooperativa, in grande maggioranza ex carcerati. Faraone dice che lui stesso vuole, ovviamente, “vederci chiaro” nella video-inchiesta di Striscia. Ha dichiarato che comunque non hai mai chiesto nessun voto di scambio. Ma ha solo dato la sua parola che, se fosse diventato sindaco, avrebbe avuto modo di aiutare quelle persone socialmente deboli ad ottenere dei corsi di formazione, che li avrebbero aiutati a trovare un posto di lavoro.
Resta il dato oggettivo che Faraone, senza sponsor, grandi o piccoli, nè locali nè nazionali (se Renzi non è ancora leader nazionale), è riuscito ad ottenere poco più di 8000 voti (27,3%). Neanche 2000 voti sotto Ferrandelli e Borsellino. Mentre alla vigilia era dato tra il 5 e il 10%. 
Ancora non si sa se, quattro giorni dopo le primarie, Ferrandelli sarà il candidato di tutto il centrosinistra. Senza parlare di come risponderanno Lombardo (e terzo polo) col proprio candidato, e il Pdl su un altro fronte ancora.
Abbiamo sentito e visto di tutto, di impensabile e di incoerente. Però a livello nazionale una lezione è ora che si impari. Bisogna creare un partito che in base alle proprie idee e contenuti decide con chi stare. O eventualmente di stare da solo... Sono passati più di quattro anni dall'ottobre 2007, ma ancora non c'è una linea precisa. E quindi non c’è neanche il partito. Non è sterile polemica ricordarlo annoiando ogni volta.
Evidentemente non è bastato dire “famolo solido”. Ogni primaria di grande città si è trasformata in una delusione per il Pd, Fassino e Cialente sono eccezioni che confermano la regola. 
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martedì 28 febbraio 2012

Dal privilegio al merito


"Il mondo cui ci affacciamo ci pare follemente bipartito: da un lato i privilegi acquisiti, dall'altro le occasioni perse. Dal guado in cui rischiamo di essere intrappolati, non tolleriamo che le posizioni su un argomento tanto delicato cedano alla banalizzazione del partito preso".

Martedì scorso una lettera che ho firmato insieme ad altri 18 ragazzi è stata pubblicata dal Corriere della Sera e conteneva anche il precedente estratto. Il nostro intento non era riuscire ad ottenere, in qualche modo, più riflettori possibili. Il nostro obiettivo era far parlare il più possibile dei contenuti che in questa lettera avevamo cercato di inserire al meglio, in maniera evidentemente sincera e chiara.

Oltretutto pure il titolo rispettava oltremodo il testo: "Non lasciate i giovani fuori dal tavolo. La sfida è passare dal privilegio al merito".

Il dato che ci premeva sottolineare è molto semplice e allo stesso banale, la "scoperta dell'acqua calda" si dice dalle mie parti. Ossia che al tavolo dove in questi giorni si sta realizzando la riforma del mercato del lavoro non esistono rappresentanti ufficiali dei cosiddetti "giovani". Stiamo parlando di italiani sotto i 40 anni, che sono quasi trenta milioni di persone. Invece, sono presenti sindacati e imprese, che legittimamente e giustamente sono lì a difendere gli interessi dei proprio iscritti.

L'idea della lettera è nata anche dalla consapevolezza che questa nostra non presenza al tavolo "che conta" noi la imputiamo in parte pure a nostre responsabilità ben precise. Personalmente ripeto da anni, e in modo noioso oramai, che non riusciamo a organizzarci e quindi ad essere incisivi. I sindacati hanno milioni di iscritti. Noi, invece, ci dividiamo tra giovanili di partito dove in pochissimi se la cantano e se la suonano, e sindacati studenteschi che sembrano far sentire la loro voce principalmente nel periodo autunnale pre-natalizio, con qualche aggiunta tra marzo e aprile.

In 19 ci siamo ritrovati a condividere un'idea semplicissima: immettere un nostro punto di vista in un dibattito nel quale non ci ritrovavamo rappresentati da nessuna delle opinioni che risuonavano per lo stivale. E qui ci tengo a fare chiarezza su un primo elemento. Abbiamo firmato in 19, ma potevamo essere 17 o 32, anzi, in verità, noi non volevamo firmare proprio. L'insieme dei nomi è frutto esclusivamente della volontà di consegnare(tramite semplice email) subito al dibattito queste idee, di chi grazie alla rete le aveva condivise in quel momento. Ma, come poi abbiamo avuto conferma, si tratta di idee su cui non possiamo rivendicare la paternità dell'opera in pieno, perché ci sono giunte tante mail e commenti di approvazione e condivisione. E proprio questo era quello che ci aspettavamo, che speravamo, e da cui arriva la vera soddisfazione per aver avuto questa iniziativa totalmente spontanea.

Volutamente non siamo entrati nei tecnicismi delle soluzioni. A prescindere dal fatto che con un governo di tecnici sarebbe stato palesemente ridicolo, volevamo dare esclusivamente un pungolo positivo al Presidente Monti e ai suoi ministri(Fornero in primis), affinché si ricordino di tener fede alle parole che liberamente hanno deciso di voler usare: "dobbiamo rappresentare e fare l'interesse, anche e soprattutto, delle giovani generazioni e di quelli che ancora devono nascere".

Scrivendo che auspichiamo che "si valutino il merito, creatività e talento: si premino i più bravi attraverso un nobile sistema di incentivi economici e sociali", sappiamo di essere in sintonia con questo governo in cui, ripeto, riponiamo la nostra fiducia, ma allo stesso tempo giorno dopo giorno ripetiamo di dare concretezza, a queste parole, e di fare presto.

Come sempre ci sono i detrattori del caso. Quelli del dito e non della luna. Quelli che invece delle idee mirano, prima di tutto, a delegittimare chi quelle idee l'ha espresse, e poi se rimane ancora del "coraggio da tastiera" si prova a entrare nel merito delle questioni.

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venerdì 24 febbraio 2012

Intervistato da iMille


Ho risposto alle domande di Antonello Paciolla. Oggetto dell'intervista è stata la riforma del mercato del lavoro, in seguito alla lettera indirizzata a Monti e Fornero, che è arrivata a pag.9 del Corriere e ha fatto tanto discutere. Grazie a iMille per l'attenzione al tema. | permalink

giovedì 16 febbraio 2012

iPAD 3: countdown partito


Non c'è ancora l'ufficialità, ma in molti dicono che è come se ci fosse. La nuova versione della tavoletta più famosa del mondo dovrebbe essere presentata il prossimo 7 marzo. La location sarà lo Yerba Buena Center di San Francisco, tradizionale palcoscenico scelto da Cupertino per queste occasioni, e adorato da tutti gli amanti di Apple.

Ma il dato interessante è che 7 marzo significa subito dopo il Mobile World Congress che si tiene a Barcellona: evento che quest'anno vedrà protagonisti tutti i concorrenti di Apple e in particolare di iPad3 che montano Android. Verranno presentati tutte le nuove tavolette che riproveranno ad intaccare il dominio della mela sul mercato dei tablet.

Per quanto riguarda le indiscrezioni sulle specifiche tecniche, quelle date ultimamente per più sicure sono le seguenti: display Retina da 2048 x 1536 pixel e un processore quad-core A6. Il nuovo iPad avrà due fotocamere, ovviamente potenziate rispetto a quelle del suo predecessore, ma in verità non si sa di quanto.

Il Wall Street Journal, essendo fonte evidentemente più autorevole di qualsiasi "sito nerd", ha creato un po' di confusione. Il giornale americano ha scritto che l'iPad 3 avrà connettività LTE 4G sia su operatore Verizon che AT&T, ma solo negli States.

Questo induce a prevedere che per il resto dei mercati internazionali sarà offerto una versione di iPad3 priva di LTE. E ciò aiuta a spiegare il perché, come al solito, nel resto del mondo, come da noi in Italia, ovviamente non avremo in mano il nuovo gioiellino lo stesso giorno che in America. Siamo in una "seconda fascia" di paesi, diciamo. Ad ogni modo tutti dicono non molto dopo. I più ottimisti addirittura entro Aprile, più o meno un mese più tardi.

E' anche vero, però, che si registra da parte di Tim e Vodafone la volontà di lanciare sul territorio italiano sperimentazioni riguardanti le reti LTE, questa nuova tecnologia su cui si baseranno presto o tardi tutti i dispositivi mobili anche da noi. Quindi, a ben vedere e a ben sperare, non dovremmo comunque trovarci impreparati qualora iPad3 (e pure iPhone5) avranno a disposizione questa connessione 4G: velocità pari a 100 Mbit/s in download e 50 Mbit/s in upload. Ovvero un altro mondo rispetto alla 3G.

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domenica 12 febbraio 2012

Il DNA del PD: l'ha scritto Keynes nel 1926


Diffidate dalle interpretazioni di "ignoranti", nel senso che ignorano chi fosse Keynes. L'economista inglese più famoso del mondo era questo, le parole che ci ha lasciato sono le migliori testimoni. Era più che socialista, era un democratico, nel senso che "ricomprende socialista ma non è vero il contrario".

Am I Liberal? 
I


If one is born a political animal, it is most uncomfortable not to belong to a party; cold and lonely and futile it is. If your party is strong, and its programme and its philosophy sympathetic, satisfying the gregarious, practical, and intellectual instincts all at the same time, how very agreeable that must be!—worth a large subscription and all one's spare time—that is, if you are a political animal.




So the political animal who cannot bring himself to utter the contemptible words, ‘I am no party man’, would almost rather belong to any party than to none. If he cannot find a home by the principle of attraction, he must find one by the principle of repulsion and go to those whom he dislikes least, rather than stay out in the cold.




Now take my own case—where am I landed on this negative test? How could I bring myself to be a Conservative? They offer me neither food nor drink—neither intellectual nor spiritual consolation. I should not be amused or excited or edified. That which is common to the atmosphere, the mentality, the view of life of—well, I will not mention names—promotes neither my self-interest nor the public good. It leads nowhere; it satisfies no ideal; it conforms to no intellectual standard; it is not even safe, or calculated to preserve from spoilers that degree of civilisation which we have already attained.




Ought I, then, to join the Labour Party? Superficially that is more attractive. But looked at closer, there are great difculties. To begin with, it is a class party, and the class is not my class. If I am going to pursue sectional interests at all, I shall pursue my own. When it comes to the class struggle as such, my local and personal patriotisms, like those of every one else, except certain unpleasant zealous ones, are attached to my own surroundings. I can be influenced by what seems to me to be justice ad good sense; but the class war will find me on the side of the educated bourgeoisie.




But, above all, I do not believe that the intellectual elements in the Labour Party will ever exercise adequate control; too much will always be decided by those who do not know at all what they are talking about; and if—which is not unlikely—the control of the party is seized by an autocratic inner ring, this control will be exercised in the interests of the extreme left wing—the section of the Labour Party which I shall designate the party of catastrophe.




On the negative test, I incline to believe that the Liberal Party is still the best instrument of future progress—if only it had strong leadership and the right programme.




But when we come to consider the problem of party positively—by reference to what attracts rather than to what repels—the aspect is dismal in every party alike, whether we put our hopes in measures or in men. And the reason is the same in each case. The historic party questions of the nineteenth century are as dead as last week's mutton; and whilst the questions of the future are looming up, they have not yet become party questions, and they ‘cut across’ the old party lines.




Civil and religious liberty, the franchise, the Irish question, Dominion self-government, the power of the House of Lords, steeply graduated taxation of incomes and of fortunes, the lavish use of the public revenues for ‘social reform’, that it to say, social insurance for sickness, unemployment and old age, education, housing and public health—all these causes for which the Liberal Party fought are successfully achieved or are obsolete or are the common ground of all parties alike. What remains? Some will say—the land question. Not I—for I believe that this question, in its traditional form, has now become, by reason of a silent change in the facts, of very slight political importance. I see only two planks of the historic Liberal platform still seaworthy—the drink question and free trade. And of these two free trade survives, as a great and living political issue, by an accident. There were always two arguments for free trade—the laissez-faire argument which appealed and still appeals to the Liberal individualists, and the economic argument based on the benefits which flow from each country's employing its resources where it has a comparative advantage. I no longer believe in the political philosophy which the doctrine of free trade adorned. I believe in free trade because, in the long run and in general, it is the only policy which is technically sound and intellectually tight.




But take it at the best, can the Liberal Party sustain itself on the land question, the drink question, and free trade alone, even if it were to reach a united and clear-cut programme on the two former? The positive argument for being a Liberal, is at present, very weak. How do the other parties survive the positive test?




The Conservative Party will always have its place as a diehard home. But constructively, it is in just as bad case as the Liberal Party. It is often no more than an accident of temperament or of past associations, and not a real difference of policy or of ideals, which now separates the progressive young Conservative from the average Liberal. The old battle-cries are muffled or silent. The Church, the aristocracy, the landed interests, the rights of property, the glories of empire, the pride of the services, even beer and whisky, will never again be the guiding forces of British politics.




The Conservative Party ought to be concerning itself with evolving a version of individualistic capitalism adapted to the progressive change of circumstances. The difficulty is that the capitalist leaders in the City and in Parliament are incapable of distinguishing novel measures for safeguarding capitalism from what they call Bolshevism. If old-fashioned capitalism was intellectually capable of defending itself, it would not be dislodged for many generations. But, fortunately for Socialists, there is little chance of this.




I believe that the seeds of the intellectual decay of individualist capitalism are to be found in an institution which is not in the least characteristic of itself, but which it took over from the social system of feudalism which preceded it—namely, the hereditary principle. The hereditary principle in the transmission of wealth and the control of business is the reason why the leadership of the capitalist cause is weak and stupid. It is too much dominated by third-generation men. Nothing will cause a social institution to decay with more certainty than its attachment to the hereditary principle. It is an illustration of this that by far the oldest of our institutions, the Church, is the one which has always kept itself free from the hereditary taint.




Just as the Conservative Party will always have its diehard wing, so the Labour Party will always be flanked by the Party of Catastrophe—Jacobins, Communists, Bolshevists, whatever you choose to call them. This is the party which hates or despises existing institutions and believes that great good will result merely from overthrowing them—or at least that to overthrow them is the necessary preliminary to any great good. This party can only flourish in an atmosphere of social oppression or as a reaction against the Rule of Die- Hard. In Great Britain it is, in its extreme form, numerically very weak. Nevertheless its philosophy in a diluted form permeates, in my opinion, the whole Labour Party. However moderate its leaders may be at heart, the Labour Party will always depend for electoral success on making some slight appeal to the widespread passions and jealousies which find their full development in the Party of Catastrophe. I believe that this secret sympathy with the Policy of Catastrophe is the worm which gnaws at the seaworthiness of any constructive vessel which the Labour Party may launch. The passions of malignity, jealousy, hatred of those who have wealth and power (even in their own body), ill consort with ideals to build up a true social republic. Yet it is necessary for a successful Labour leader to be, or at least to appear, a little savage. It is not enough that he should love his fellow-men; he must hate them too.




What then do I want Liberalism to be? On the one side, Conservatism is a well-defined entity—with a right of diehards, to give it strength and passion, and a left of what one may call 'the best type' of educated, humane, Conservative free traders, to lend it moral and intellectual respectability. On the other side, Labour is also well defined—with a left of catastrophists, to give it strength and passion, and a right of what one may call 'the best type' of educated, humane, socialistic reformers, to lend it moral and intellectual respectability. Is there room for any thing between? Should not each of us here decide whether we consider ourselves to be 'the best type' of Conservative free traders or 'the best type' of socialistic reformers, and have done with it?




Perhaps that is how we shall end. But I still think that there is room for a party which shall be disinterested as between classes, and which shall be free in building the future both from the influences of diehardism and from those of catastrophism, which will spoil the constructions of each of the others. Let me sketch out in the briefest terms what I conceive to be the philosophy and practice of such a party.




To begin with, it must emancipate itself from the dead wood of the past. In my opinion there is now no place, except in the left wing of the Conservative Party, for those whose hearts are set on old-fashioned individualism and laissez-faire in all their rigour—greatly though these contributed to the success of the nineteenth century. I say this, not because I think that these doctrines were wrong in the conditions which gave birth to them (I hope that I should have belonged to this party if I had been born a hundred years earlier), but because they have ceased to be applicable to modern conditions. Our programme must deal not with the historic issues of Liberalism, but with those matters—whether or not they have already become party questions—which are of living interest and urgent importance to-day. We must take risks of unpopularity and derision. Then our meetings will draw crowds and our body be infused with strength.






II






I divide the questions of today into five headings: (1) peace questions; (2) questions of government; (3) sex questions; (4) drug questions; (5) economic questions.




On peace questions let us be pacifist to the utmost. As regards the empire, I do not think that there is any important problem except in India. Elsewhere, so far as problems of government are concerned, the process of friendly disintegration is now almost complete— to the great benefit of all. But as regards pacifism and armaments we are only just at the beginning. I should like to take risks in the interests of peace, just as in the past we have taken risks in the interests of war. But I do not want these risks to assume the form of an undertaking to make war in various hypothetical circumstances. I am against pacts. To pledge the whole of our armed forces to defend disarmed Germany against an attack by France in the plenitude of the latter's military power is foolish; and to assume that we shall take part in every future war in western Europe is un necessary. But I am in favour of giving a very good example, even at the risk of being weak, in the direction of arbitration and of disarmament.




I turn next to questions of government—a dull but important matter. I believe that in the future the government will have to take on many duties which it has avoided in the past. For these purposes Ministers and Parliament will be unserviceable. Our task must be to decentralise and devolve wherever we can, and in particular to establish semi-independent corporations and organs of administration to which duties of government, new and old, will be entrusted—without, however, impairing the democratic principle or the ultimate sovereignty of Parliament. These questions will be as important and difficult in the future as the franchise and the relations of the two Houses have been in the past.




The questions which I group together as sex questions have not been party questions in the past. But that was because they were never, or seldom, the subject of public discussion. All this is changed now. There are no subjects about which the big general public is more interested; few which are the subject of wider discussion. They are of the utmost social importance; they cannot help but provoke real and sincere differences of opinion. Some of them are deeply involved in the solution of certain economic questions. I cannot doubt that sex questions are about to enter the political arena. The very crude beginnings represented by the suffrage movement were only symptoms of deeper and more important issues below the surface.




Birth control and the use of contraceptives, marriage laws, the treatment of sexual offences and abnormalities, the economic position of women, the economic position of the family—in all these matters the existing state of the law and of orthodoxy is still medieval— altogether out of touch with civilised opinion and civilised practice and with what individuals, educated and uneducated alike, say to one another in private. Let no one deceive himself with the idea that the change of opinion on these matters is one which only affects a small educated class on the crust of the human boiling. Let no one suppose that it is the working women who are going to be shocked by ideas of birth control or of divorce reform. For them these things suggest new liberty, emancipation from the most intolerable of tyrannies. A party which would discuss these things openly and wisely at its meetings would discover a new and living interest in the electorate—because politics would be dealing once more with matters about which everyone wants to know and which deeply affect everyone's own life.




These questions also interlock with economic issues which cannot be evaded. Birth control touches on one side the liberties of women, and on the other side the duty of the State to concern itself with the size of the population just as much as with the size of the army or the amount of the budget. The position of wage-earning women and the project of the family wage affect not only the status of women, the first in the performance of paid work, and the second in the performance of unpaid work, but also raise the whole question whether wages should be fixed by the forces of supply and demand in accordance with the orthodox theories of laissez-faire, or whether we should begin to limit the freedom of those forces by reference to what is ‘fair’ and ‘reasonable’ having regard to all the circumstances.




Drug questions in this country are practically limited to the drink question; though I should like to include gambling under this head. I expect that the prohibition of alcoholic spirits and of bookmakers would do good. But this would not settle the matter. How far is bored and suffering humanity to be allowed, from time to time, an escape, an excitement, a stimulus, a possibility of change?—that is the important problem. Is it possible to allow reasonable licence, permitted saturnalia, sanctified carnival, in conditions which need ruin neither the health nor the pockets of the roisterers, and will shelter from irresistible temptation the unhappy class who, in America, are called addicts?




I must not stay for an answer, but must hasten to the largest of all political questions, which are also those on which I am most qualified to speak—the economic questions.




An eminent American economist, Professor Commons, who has been one of the first to recognise the nature of the economic transition amidst the early stages of which we are now living, distinguishes three epochs, three economic orders, upon the third of which we are entering.




The first is the era of scarcity , ‘whether due to inefficiency or to violence, war, custom, or superstition’. In such a period ‘there is the minimum of individual liberty and the maximum of communistic, feudalistic or governmental control through physical coercion’. This was, with brief intervals in exceptional cases, the normal economic state of the world up to (say) the fifteenth or sixteenth century.




Next comes the era of abundance. ‘In a period of extreme abundance there is the maximum of individual liberty, the minimum of coercive control through government, and individual bargaining takes the place of rationing.’ During the seventeenth and eighteenth centuries we fought our way out of the bondage of scarcity into the free air of abundance, and in the nineteenth century this epoch culminated gloriously in the victories of laissez-faire and historic Liberalism. It is not surprising or discreditable that the veterans of the party cast backward glances on that easier age.


But we are now entering on a third era, which Professor Commons calls the period of stabilisation, and truly characterises as ‘the actual alternative to Marx's communism’. In this period, he says, ‘there is a diminution of individual liberty, enforced in part by governmental sanctions, but mainly by economic sanctions through concerted action, whether secret, semi-open, open, or arbitrational, of associations, corporations, unions, and other collective movements of manufacturers, merchants, labourers, farmers, and bankers’.




The abuses of this epoch in the realms of government are Fascism on the one side and Bolshevism on the other. Socialism offers no middle course, because it also is sprung from the presuppositions of the era of abundance, just as much as laissez-faire individualism and the free play of economic forces, before which latter, almost alone amongst men, the City editors, all bloody and blindfolded, still piteously bow down.




The transition from economic anarchy to a régime which deliberately aims at controlling and directing economic forces in the interests of social justice and social stability, will present enormous difficulties both technical and political. I suggest, nevertheless, that the true destiny of New Liberalism is to seek their solution.




It happens that we have before us today, in the position of the coal industry, an object- lesson of the results of the confusion of ideas which now prevails. On the one side the Treasury and the Bank of England are pursuing an orthodox nineteenth-century policy based on the assumption that economic adjustments can and ought to be brought about by the free play of the forces of supply and demand. The Treasury and the Bank of England still believe—or, at any rate, did until a week or two ago—that the things, which would follow on the assumption of free competition and the mobility of capital and labour, actually occur in the economic life of today.




On the other side, not only the facts, but public opinion also, have moved a long distance away in the direction of Professor Commons’ epoch of stabilisation. The trade unions are strong enough to interfere with the free play of the forces of supply and demand, and public opinion, albeit with a grumble and with more than a suspicion that the trade unions are growing dangerous, supports the trade unions in their main contention that coal-miners ought not to be the victims of cruel economic forces which they never set in motion.




The idea of the old-world party, that you can, for example, alter the value of money and then leave the consequential adjustments to be brought about by the forces of supply and demand, belongs to the days of fifty or a hundred years ago when trade unions were powerless, and when the economic juggernaut was allowed to crash along the highway of progress without obstruction and even with applause.




Half the copybook wisdom of our statesmen is based on assumptions which were at one time true, or partly true, but are now less and less true day by day. We have to invent new wisdom for a new age. And in the meantime we must, if we are to do any good, appear unorthodox, troublesome, dangerous, disobedient to them that begat us.


In the economic field this means, first of all, that we must find new policies and new instruments to adapt and control the working of economic forces, so that they do not intolerably interfere with contemporary ideas as to what is fit and proper in the interests of social stability and social justice.




It is not an accident that the opening stage of this political struggle, which will last long and take many different forms, should centre about monetary policy. For the most violent interferences with stability and with justice, to which the nineteenth century submitted in due satisfaction of the philosophy of abundance, were precisely those which were brought about by changes in the price level. But the consequences of these changes, particularly when the authorities endeavour to impose them on us in a stronger dose than even the nineteenth century ever swallowed, are intolerable to modern ideas and to modern institutions.




We have changed, by insensible degrees, our philosophy of economic life, our notions of what is reasonable and what is tolerable; and we have done this without changing our technique or our copybook maxims. Hence our tears and troubles.




A party programme must be developed in its details, day by day, under the pressure and the stimulus of actual events; it is useless to define it beforehand, except in the most general terms. But if the Liberal Party is to recover its forces, it must have an attitude, a philosophy, a direction. I have endeavoured to indicate my own attitude to politics, and I leave it to others to answer, in the light of what I have said, the question with which I began—Am I a Liberal? | permalink

venerdì 3 febbraio 2012

Il caso Lusi e noi. Che lo diciamo dal 2007


Non aggiungo altro alle cose che trovate scritte clickando sui seguenti link.
Anzi una cosa sola. Adesso che "il nostro giorno verrà" l'hanno capito tutti, ma proprio tutti.
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giovedì 2 febbraio 2012

Codesti talk-show a cosa servono? (nuovo numero di The Week online)


La televisione ancora regna. Purtroppo. Su Youtube troviamo milioni e milioni di visualizzazioni anche a “roba” italiana. Ma alla fine la sera finiamo tutti sul divano. Qualcuno magari con smartphone o tablet in mano per commentare in diretta. Ma cosa commentiamo? La televisione.

Passera si è mangiato Rutelli a Ballarò, o meglio lo ha reso invisibile(prima dello scandalo Lusi, due martedì fa). L’ex co-fondatore del Pd cercava di inserirsi ogni tanto per legittimare la sua presenza. Ma peggiorava la situazione: battute incomprensibili, sorrisetti che mettevano a disagio lo spettatore al posto suo. Ed era già stato “ucciso” mediaticamente quando Crozza gli ha ricordato che non è laureato. Angeletti esteriorizzava al meglio il bisogno vitale che aveva di essere tre ore a Raitre, per farsi rivedere dopo che Bonanni lo aveva oscurato.

Santoro invita la Mussolini, perché? Quale contributo informativo apporta? A me pare che serva solo ed esclusivamente per aver la “caciara” assicurata contro Travaglio, quella indispensabile per lo share minimo sindacale. Pensavo fosse un mio problema, invece parlando in giro mi sono reso conto che la cosa è diventata intollerabile per molte persone, e di tutte le età. Perché Servizio Pubblico non si limita a far parlare solo i lavoratori e persone comuni che l’ottimo inviato Ruotolo mette sempre a disposizione? Tanto è questa la forza di Servizio Pubblico: far sentire la voce, giustamente, chi perde il lavoro e soffre, ma continua a pagare le tasse e resta in questo paese, no?

I migliori saranno gli Sgommati di Sky. Non lo dico per fare la battutta scontata, che non è un vero talk show all’italiana. Ma prima di tutto non ti inalberi e ti fai pure qualche risata. Secondo i testi sono scritti molto bene, oltretutto sempre “sul pezzo” e con chiavi di lettura per nulla banali che informano e spiegano molto bene giochi e veleni di palazzo. Non solo italiani, si affacciano infatti anche “le pistole” di Putin, i problemi della Merkel e Sarkozy, e pure Obama che si vuole fare rieleggere.

Torno a Raitre: In Mezz’ora dell’Annunziata. Lungi dal fare il maestrino, ammetto di nutrire palese invidia, ma non scrivo per nessun grande quotidiano come critico televisivo. Però se una giornalista modifica spesso e volentieri nomi, oppure li sbaglia proprio, e il tutto condito da saccenza, voluta o non voluta non lo so, ma di saccenza insopportabile si tratta, a me saltano i nervi. Sono sensibile. Durante l’intervista a Monti si è toccata l’apoteosi. Ma mi pare che questa volta il giochino comincia a rompersi, si è creata qualche falla. Ne ho avuto percezione evidente, per così dire, quando Monti ha stoppato la giornalista “de sinistra” dicendole: “come vede, però, io sono ancora qui seduto”. Il riferimento e il paragone era all’episodio in cui Berlusconi prese, se ne andò e lasciò l’Annunziata trionfare. E poi c’è stato il già celeberrimo “per come lo presenta lei l’art 18 è un tabù. Io non sono d’accordo”. La Annunziata ha abbozzato, come si dice a Roma. Non è andata al contrattacco. Monti non è Berlusconi.

Che ancora a comandare è la televisione ne abbiamo una dimostrazione plastica guardando l’Ultima Parola di Paragone in onda in seconda serata il venerdi su Raidue. Nell’anteprima e durante la trasmissione vera fanno a gara di visibilità blogger e personalità della rete. Personaggi diventati abbastanza “famosi” su Internet grazie ai loro blog collegati ad un utilizzo di Twitter ininterrotto 24 ore al giorno (e mi chiedo quale giornata abbiano). Li vedi alternarsi di corsa per fare il loro commento microfono alla mano. E ti danno l’impressione che tutto quello che hanno fatto online e che continuano a fare sia finalizzato ad arrivare in qualche modo davanti ad una telecamera, per alimentare lo stesso teatrino, ma con la patente di “anticonformista” perché “nato sulla rete” e non politico nè giornalista.

E questo ti demoralizza. Invece che fare squadra, ti sembra che la preoccupazione diffusa sia quella di far arrivare la propria individualità più in alto possibile. Ossia in televisione, non più solo all’anteprima, ma anche prima o poi alla trasmissione vera e propria, come ospite classico “big”. A mio avviso bisogna inventarsi qualcos’altro. Così “non vinceremo mai”. Col blogger professionista di complotti, con quello di area centro-destra, con quell’altro di area centro-sinistra cosa otteniamo? Sicuramente una come questa è una trasmissione più innovativa rispetto a un Porta a Porta, ed è un bene; ma lo schema e l’interesse dei partecipanti sembrano essere sempre i medesimi. Il processo alle intenzioni è una brutta storia, ma nel secolo delle apparenze è bene che ognuno sottolinei le proprie ogni mezz'ora.

Da poco prima dell’arrivo di Monti il leghista che va “di moda” è questo Pini, maroniano mi pare. Te lo ritrovi ovunque. E ci sono anche altri invitati permanenti del momento. Abbiamo scoperto la sindacalista Cgil Cantone, ormai fissa a Ballarò e su Raitre in genere. Come Lerner ha Mucchetti all’Infedele e professori conosciuti solo su La7. La Gruber Franco e Zucconi, e Severgnini come editorialisti. Comunque ognuno ha il suo "clan storico" che se non lo vedi in una puntata sei sicuro che ci sarà quella successiva. E poi ci sono le figure che trovi ovunque, da Omnibus a Matrix, ai plastici di Porta e Porta.

Subito dopo le dimissioni di Berlusconi si era sperato che qualcosa potesse cambiare. Ma in realtà, dopo la scomparsa per qualche settimana, in seguito all’arrivo dei “tecnici” che hanno preso un po’ di riflettori, sono tutti ritornati. Santanchè, Gasparri, Ravetto, La Russa, Formigoni, Alemanno, Cicchitto, Salvini, Sallusti; e i contraltari Finocchiaro, Di Pietro, Latorre, Bindi, Vendola, Rodotà, Letta, stanno sempre lì, ci sono solo loro. Io pacatamente comunico la mia “stanchezza” e il mio interrogativo. La mia personale risposta è tautologicamente negativa. I cittadini quale beneficio ricevono? Informazione? O restano semplicemente aggiornati sulle “facce” e sui battibecchi?

(continua a leggere su The Week. Con gli altri articoli del numero)
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    martedì 31 gennaio 2012

    Le opposizioni di Monti (nuovo numero di qdR online)


    Il governo Monti ha mantenuto la prima promessa. Dopo la prima fase basata sui sacrifici, passati alla storia con le lacrime della Fornero, dal 20 gennaio scorso è iniziata a tutti gli effetti la seconda. Quella totalmente dedicata a risollevare il paese. Come? Con le liberalizzazioni. Senza tabù, come ha sottolineato due domeniche fa il presidente del consiglio a In Mezz'Ora dalla attenta Annunziata.

    Dopo più di due mesi di analisi su questo nuovo governo ce ne sono a volontà. Tanti dicono che è palesemente un governo di destra. Una destra europea, non ha la volgarità, l'incoerenza e l'inutilità del berlusconismo. Ma questo non deve indurre in errore: sempre di destra trattasi. Monti è un "liberale conservatore", dicono. E subito viene la voglia di imporre una riflessione su cosa significhi, oggi, "conservatore" e cosa "innovatore trattino progressista". Nel senso che fa progredire il paese, tutto, nel suo insieme.

    Altri ancora si limitano a dire che si tratta di un governo liberale e (turbo)liberista; al massimo ricordano, ormai per la noia di chi ascolta, che il tutto è nato a Todi, con la benedizione e organizzazione dietro le quinte delle gerarchie vaticane. E, ovviamente, per la gioia di banche, assicurazioni, e della massoneria di cui Monti sarebbe un esponente "a sua insaputa".

    Suggestivo il Neri Marcorè che ha inaugurato il palco di Show Must Go Off con un Casini che arriva "mascherato" da Monti, ma che subito ci tiene a "tirar fuori" la sua vera faccia. A questo, in un nanosecondo, si collega il commento di quanti rivedrebbero in Monti il Forlani leader della destra Dc.

    Utilizzando queste e altre "argomentazioni", stiamo continuando ad assistere all'autoproclamazione di diverse opposizioni. Diverse perché starebbero in luoghi e con funzioni differenti. Diverse perché tra di loro, in teoria, non dovrebbero avere nulla in comune dal punto di vista delle "proprie idee propositive".

    Ecco perché mi viene da dire che è diventato un divertissment ragionare sulle opposizioni a Monti. Ma non lo ritengo un giochino inutile. Mi pare evidente che elencare tutti i soggetti che gli stanno esprimendo avversità faccia riflettere a fondo. E questa operazione, a mio avviso, può risultare quasi catartica. Facciamola.

    Cominciamo dall'opposizione "dura" e più visibile: la Lega che in parlamento ha mollato Berlusconi e che da subito ha tuonato contro "il governo dei banchieri" in difesa del "popolo padano". Dopo 20 anni di ministeri e governo centrale (quello che sta nei palazzi romani per intendersi), si è risvegliata di colpo nel 1992, in piena manipulite e di nuovo col cappio in mano. Salvo poi, en passant, salvare Nicola Cosentino e mettere in scena quel teatrino "maroniani contro cerchio magico" che ha fatto morire dal ridere. Ma poi della recentissima manifestazione di piazza a Milano cosa è rimasto? Credo la corbelleria detta da Renzo Bossi sui "fischi fuori sincrono", perché che Bossi, padre, faccia cadere Formigoni non ci crede nessuno. Mica è il nipote di Mubarak.

    Passiamo al binomio Idv-Sel. Entrambi, da mesi, senza se e senza ma spalleggiano palesemente il sindacato duro e puro della Cgil (e Fiom). Ma quella di Di Pietro è una semi-opposizione parlamentare: l'Idv ha votato la primissima fiducia a Monti e adesso "farà le pulci pure a lui". Quella di Vendola invece è una opposizione totale e fuori dal parlamento. Comprensibili entrambe le scelte. Ma sono condivisibili? Nella recente conferenza stampa i due leader hanno dichiarato che "restano disponibili" ad allearsi col Pd nonostante che il partito di Bersani appoggi Monti convintamente. Ma perchè? Per fare cosa? Per riuscire a governare l'Italia tutta un giorno? Questa è un'impresa che richiede molta fatica e zero populismo in nessun frangente, da qui al medio periodo. Oppure l'hanno detto semplicemente per restare alleati nei governi locali che interessano di più? E lo stesso vale per il PD: avremo mai il coraggio di rischiare di vincere le elezioni nazionali per governare e quindi migliorare l'Italia intera?

    C'è poi l'opposizione dei sindacati, anche questi di colpo tornati a indire conferenze stampa e scioperi unitari. Incredibile. Ma "sotto" Berlusconi, cioè fino a meno di 100 giorni fa, perché hanno tanto amato dividersi? Da questo punto di vista è' giusto riconoscere maggior coerenza alla Cgil, piuttosto che a Cisl e Uil che all'improvviso ostentano la loro opposizione molto di più con un governo che prova a fare tutto quello che è possibile rispetto a quello precedente che, ad esempio, non ha avuto il ministro dello Sviluppo economico per mesi e mesi. Ma tutti e tre hanno un problema che ormai devono affrontare per forza: questo governo glielo ha fatto capire già con la riforma del sistema pensionistico, e ora sarà ancora più evidente con la riforma del mercato del lavoro. Questi sindacati non rappresentano tutti i lavoratori. Ma solo quelli a loro iscritti, e quindi non possono arrogarsi il diritto di essere gli unici difensori del lavoro. Esiste un oceano di gente che deve trovare uno straccio di modo per farsi rappresentare: dai precari, alle partite Iva, a chi ai sindacati non si iscrive più.

    Poi ci sono i comunisti. Quelli che legittimano i berluscones a utilizzare ancora questo capro espiatorio nei suoi proclami. Sono divisi in mille partitini, sempre di più le sigle (e gli iscritti?), e sono come il prezzemolo: ovunque in tv. Un giorno ci chiederemo quante persone rappresentano. Giorni fa Rizzo, che non sta nè con Diliberto, nè con Ferrero e neanche con Ferrando(perdonatemi se ho dimenticato qualcuno), su Twitter annunciava che sarebbe andato al Tg4 di Emilio Fede. In quella sede ha ricevuto applausi dal direttore, che pure a lui questo Monti piace poco.

    Ci sono anche i malpancisti di Pdl e Pd, quelli che in parlamento devono fare buon viso a cattivo gioco. Ma provano a trovare boccate d'ossigeno (di consensi) nei giornali di area più "rivoluzionari". Il Giornale e Libero da una parte e dall'altra l'Unità, seppur in maniera meno evidente, danno sfogo ai fastidi e ai problemi che appoggiare questo governo sta portando a chi, in entrambi gli schieramenti, non ne è convinto per nulla e anzi attacca Monti appena può. In questo hanno maggiore gioco gli amministratori locali di fama nazionale, sia di Pdl che di Pd, che possono "fare il populismo" che gli occorre per tenere buoni i propri elettori.

    Recentemente ho avuto modo di notare anche un'altra sorta di opposizione, molto meno rilevante e popolare, ma che ritengo interessante analizzare. Dalla Gruber una dirigente Udu(il sindacato degli studenti "di sinistra") ha ostentato al meglio quanto alcuni giovani siano (stati) convinti che si dovrebbe "odiare" un Martone(ospite della trasmissione), non capendo che questo atteggiamento "televisivo" (tra l'altro figlio proprio di quel berlusconismo che a sinistra si imputa ad altri) fa esattamente il gioco di un Martone e dei "tecnici": aumenta la loro popolarità e soprattutto il consenso delle persone nei loro confronti. Ammesso e non concesso che Martone (e gli altri ministri) abbia sempre e comunque torto a prescindere e/o sia in malafede. Apro e chiudo una parentesi. Il termine "sfigati" è stato un errore del professor Martone da cerchiare in rosso. E il viceministro, infatti, lo ha ammesso: anche questo alla fine è una rarità nella politica italiana. Ma cavalcare il populismo dell'anticonformismo è ancora più grave. Soprattutto se il problema esiste e non si danno soluzioni chiare, concrete e fattibili per risolverlo. Gli italiani non sono idioti, lo capiscono. Chiusa parentesi.

    (continua a leggere su qualcosa di Riformista.

    Ecco gli altri articoli di questo numero:
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