sabato 5 febbraio 2011

La sinistra italiana nuoce gravemente alla salute. "Per fortuna" a pochissimi...



Primo. È lungo questo post. Molto lungo e noioso praticamente per chiunque.
Secondo. Non mi appassionano gli scritti di chi non si firma con nome e cognome sempre e comunque. A me piace evitare di rischiare di non essere riconosciuto.
Terzo. 'Sto giro, però, faccio una eccezione. Non riesco ad evitarla.
Quarto. Bisogna sempre stare ad ascoltare cosa hanno da dire i sassolini che escono dalle scarpe.
Quinto. Le vicende della sinistra italiana sono vissute a pieno(e a Roma) da meno di 50 persone e conosciute sì e no da un centinaio (al massimo "ammetto" un moltiplicatore di correzione compreso tra 1 e 2). Se in qualsiasi misura si ha a cuore la sinistra italiana sconsiglio di provare a calcolare quanti dei circa 60 milioni di italiani seguono con un qualche sentimento queste vicende.
Sesto. Io sono uno di questi pochissimi, malati di sinistra, malattia sostanzialmente inesistente nell'Italia non dirigenziale. Rivendico di farne parte di diritto visto che un sabato pomeriggio di una bella giornata invernale sto qui, molto probabilmente, a consumare inutilmente i miei polpastrelli.
Settimo. Se Berlusconi e la sua destra possono avere Ruby e similia, la sinistra che comanda(qualcosa nell'Italia berlusconian-leghista che però "se ne frega" di combattere per sconfiggerla) può avere i sassolini di cui al punto quarto...
Ottavo. Seleziono a mio piacere un pezzo per ogni puntata di un "racconto" appena pubblicato su The Front Page. Mai mi sarei immaginato di poter fare una cosa del genere con tanto "divertimento".
Nono. Rivendico con orgoglio, pure, l'aver dato un nome, a modo e per conto mio in tempi non sospetti, a quelli che in questo racconto edito da TFP vengono chiamati "barbudos". Io li chiamo da un po' "barbette atee ma devote e pettinate", non ho potuto farne a meno, mea culpa.
Decimo e ultimo. Metto le mani avanti: essere etichettato "veltroniano" non mi offende ma non mi descrive affatto bene, se posso permettermi. Inoltre, scelgo con qualche approssimazione questa immagine di Tom Cruise, visto che la barbetta non è poi così troppo "pettinata"(e oltretutto troppo belloccio rispetto al dovuto).




I dalemiani non esistono (prima punt
ata)
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L’equivoco che li regge in piedi è che “comunque D’Alema è il più intelligente”, che è vero, ma è un’aggravante, e che “comunque attorno a lui c’è sempre un enorme potere”. Che è falso perché dopo la morte di Cossiga (quanto ci vorrebbe oggi!) in Italia non esiste più nessun politico che abbia o fotta il potere. Matteo Orfini, archeologo, Francesco Cundari, giornalista, Fausto Raciti, segretario dei Giovani democratici, Massimo Adinolfi, docente di Ermeneutica filosofica all’Università di Cassino. Meno pelosi, ma impegnati su diversi fronti: Ignazio Vacca, Giuseppe Fortunato, Andrea Peruzy, Stefano Cappellini, a Roma Claudio Mancini, lo sfortunato Mazzoli. Dietro di loro ci sono leggiadri sponsor disincantati: come Sposetti e Beppe Vacca. Guardiani intellettuali e fisici della mutazione togliattiana del dalemismo (vedi la mostra Avanti popolo).

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L'ultimo dei dalemoni(seconda puntata)
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Del resto la politica dell’inclusione degli avversari nello spoil system è sempre stato un rischioso vezzo di D’Alema e dei suoi staff (“Nostrifichiamo se possibile i boiardi”, disse una volta). Masi insomma si presenta al neofita collaboratore dalemista (da ora in cravatta) come esperto nocchiero e intanto fa la spola con Palazzo Grazioli, tessendo presunti colloqui politici a distanza tra i due, che saranno utili solamente a lui. Per attribuirsi l’agognato posto di direttore generale della Rai, appena tornerà Berlusconi. Il giovane segretario particolare non vede più palla. E’ Masi a comandare, a far nomine e chiacchiere a nome e per conto dell’ologramma del presidente del Consiglio.

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I dalemisti intanto non dismettono mai la più provinciale delle sfere del potere: la federazione del partito. A Roma si organizza l’opposizione a Veltroni, si raggruppano truppe riformiste poco amate, attorno a Marroni e Mancini, due brillanti referenti locali, riuscendo a far vincere sempre gli altri: Veltroni e soprattutto Bettini. Sono sconfitte da poco, anche per chi si accontenta di poco, abituandosi però ad un fronte via via sempre più correntista e politicista: scelte che lacereranno irrimediabilmente il partito a Roma, riattizzando il plebeismo contro cui aveva combattuto Petroselli e portando il Pd allo svenamento e poi al commissariamento.

Si consolida silenziosamente così un tratto culturale non più incentrato sul riformismo e sul “Paese normale”, ma di partito, dirigista, definito “contro” la deriva veltroniana, nostalgico, contrario all’idea del partito leggero e poi ad una parte dei cattolici, divisi da Franceschini e schiavizzati dalla leadership bersaniana. D’Alema ministro metteva quasi d’accordo (si fa per dire) le fazioni in lotta in Libano. I suoi invece segmentavano sempre più le forze.

Da staff a fazione(terza puntata)

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Da questa postazione riescono a pilotare un’altra operazione di nano-potere in una mini organizzazione di cloni barbudos, i Giovani democratici, portando al potere, contro il candidato veltroniano e la radicale-tv Giulia Innocenzi, Fausto Raciti. Raciti rappresenta il culmine della mutazione: il già segretario della Sinistra giovanile batte gli altri tre candidati nelle primarie, che adesso aborrisce, fa una segreteria di fedelissimi tra le polemiche e, come emerge dai post di Giulia Innocenzi, non convoca quasi mai gli organismi dirigenti. Rigorosamente con lo stesso velo di barba di Orfini e Cundari, affetta un piglio pasdaran, innervosisce tutti i giovani di origine popolare aprendo le direzioni con stucchevoli citazioni di Marx, costruisce uno spostamento integralista verso posizioni operaiste, prima su Pomigliano e poi su Mirafiori.

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Un marxismo-zombie, scopiazzato, insieme postcomunista e socialdemocratico d’antan, un politicismo abborracciato e lontano del mondo si impossessa di loro come un demone. Per dire: quando si fanno le primarie negli Usa, appoggiano la Clinton perché Obama assomiglia troppo a Veltroni (e non è antipatico come Hillary).

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