martedì 10 gennaio 2012

La crisi che il Pd ringrazierà


Una crisi è anche una grandissima risorsa. E’ vero. Lo dicono in tanti, anche da prima che Berlusconi la smettesse di dire che “i ristoranti sono pieni”. Forse pensava a quelli di Cortina frequentati dalla Finanza a capodanno...
Il 2011 lo ricorderemo, ovviamente, per le dimissioni dell’ex presidente del Consiglio. A me, che nel bene e nel male sono “malato” di centrosinistra senza trattino, l’anno appena salutato rimarrà nei ricordi anche per un altro fatto. E non credo di essere solo, saremo almeno il 2% degli iscritti al Pd. A mio avviso, questa crisi economica e politica, che ha paracadutato Mario Monti a palazzo Chigi per intercessione salvifica di Giorgio Napolitano, ha fatto anche esplodere definitivamente una contraddizione che si era nascosta e portata dietro da anni . Nemmeno la nascita del Pd era riuscita a risolverla. Anzi, da qualche anno col passare del tempo invece di assottigliarsi, paradossalmente, si ingrossava. Quella contraddizione che si è manifestata con la massima chiarezza quando una sera di dicembre in televisione dei dirigenti Pd, al fianco di Di Pietro e Vendola(e della Lega) attaccavano e basta la manovra Monti; e la mattina seguente i deputati e senatori del proprio partito l’avrebbero votata.

In verità, gli addetti ai lavori e i “malati” di cui sopra avevano notato quali assurdità tale paradosso fosse in grado di partorire già tempo prima. Quasi a metà novembre si era ormai sicuri che Berlusconi fosse out, e impazzava il toto ministri. Dirigenti democratici dissero che l’eventuale nomina di un senatore del proprio partito, Pietro Ichino, a ministro del Welfare “sarebbe, per il Pd, una vera e propria provocazione che avrebbe un solo, unico, fine: far saltare il governo Monti”.

I tanti e tanti italiani che non seguono quotidianamente la cronaca politica, e che dunque si erano persi questa “chicca”, come mia nonna, un mese dopo avrebbero recuperato fino in fondo il significato della questione.

Uno in quanto di sinistra può e deve ricordare, ad esempio, che il 16.8% del Pil(dati Istat) serve per le pensioni di oggi, e che chi ha meno di 40 anni, sempre che non intervengano altre riforme in futuro, andrà in pensione dopo i 70 anni anche se con 47 anni di contributi, solo col metodo contributivo e importi da fame letterale.
Uno in quanto di sinistra può e deve ricordare anche che più del 90% delle imprese italiane ha meno di 10 dipendenti, dunque per tutti questi non esiste proprio l’articolo 18. Senza considerare i precari e chi per sbarcare il lunario si apre una partita Iva inventandosi i lavori che può, manco a pensarci.

Uno che a sinistra si prende il lusso di dire questo e altro non può essere un "nemico del popolo", uno “di destra”, uno colpito da chissà quale mania di protagonismo. Queste sono le accuse che in media stiamo leggendo su alcuni giornali e di riflesso anche in rete. E, naturalmente, dire questo non significa non volere e/o escludere una patrimoniale, né che si vuole difendere chi evade, né che si hanno barche o terze case in montagna da nascondere. Anzi. [...]

(continua a leggere su qualcosa di Riformista. Da oggi ho il piacere e la responsabilità di scrivere anche qui. Insieme a The Week sono i luoghi dove mi sento perfettamente a casa mia. Io non chiedo altro. 


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